CARLO MARASCO
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"È una pittura colta quella di Carlo Marasco, artista autodidatta, livornese, che dagli asfittici vincoli della tradizione locale ha saputo liberarsi in età ancor giovane – dopo l’imprescindibile seppure breve apprendistato entro i confini della cosiddetta scuola labronica – conseguendo presto una felice quanto autonoma maturità stilistica e poetica. Già le opere realizzate dall’artista sul declinare degli anni Settanta, infatti, portavano appresso – assieme ad una palese sapienza tecnica ed una ben salda cultura figurativa – quell’inconfondibile cifra che ancor oggi, nelle più recenti creazioni, si riscontra a suggellare una coerenza tutt’altro che priva di sviluppi e mutamenti. Al di là di quel sapiente iperrealismo lenticolare, difatti, andavano già allora indagati ed intesi gli interni di metafisica memoria dove il manichino, elemento principe della poetica dechirichiana a partire almeno dal 1914, diviene per Marasco protagonista ed attore prediletto, incarnante, col suo corpo anonimo e privo di destino, la non-presenza umana, l’alienante condizione dell’uomo contemporaneo, svuotato della sua unicità, del suo Io; depauperato delle passioni e degli ideali, derubato del soffio vitale, e dell’anima. […]. Malinconici enigmi, o meglio “sogni ed illusioni”, come dice Marasco, caratterizzano il gioco intellettuale messo in scena dell’artista, che tra la maschera pirandelliana ed il manichino metafisico dipana il proprio discorso per oltre un lustro, almeno sino a quando, alla metà degli anni Ottanta, i suoi protagonisti fuggono dalle stanze rinascimentali, dove quasi unicamente sino ad allora erano stati relegati, e conquistano gli spazi urbani di una città precisamente identificabile con quella natale dell’artista. […] Saranno proprio quelle emozioni, sullo scorcio del decennio, a prevalere e far sì che i manichini si vestano dei “panni della fantasia”, come sottolineerà ancora Marasco stesso, nella forma di sgargianti abiti circensi grazie ai quali saranno finalmente in grado liberarsi e librarsi verso il cielo, in alto, danzanti ed ormai inafferrabili. Sarà da allora affidato esclusivamente a queste rotondeggianti figurette il compito di rappresentare l’umanità: nessuna alienazione, nessun vincolo, nessuna prigione sono più nella pittura del livornese, mentre della realtà sopravvivranno, sulle tele, soltanto brani di edifici e di monumenti, di strade e di muri; frammenti laconici, concisi sino a divenire misteriosi: frammenti di una realtà tersa, minimale, quotidiana eppure distante, forse inaccessibile.
E così almeno sino all’aprirsi del nuovo decennio, quando ecco aver principio un nuovo tempo – che definirei di sfide – per l’artista, almeno a partire dai lavori componenti il trittico dell’omaggio a Piero della Francesca col quale Marasco si sarebbe presentato all’edizione 2010 del Premio Città di Livorno, realizzati su supporto murario, nei quali frammenti de Le storie della vera Croce realizzate dal maestro di Sansepolcro sono sapientemente riprodotti dal livornese e presentati al di sotto di brandelli murari raffiguranti alcuni tra i più caratteristici angoli del capoluogo toscano, in un raffinato contrappunto tra presente e passato, tra profano e sacro. L’anno seguente, infine, la citazione di tre capolavori dell’arte moderna, di Van Boucle, del Guercino e del Ricci, di cui Marasco avrebbe utilizzato in particolare i valori cromatici per realizzare tre opere nelle quali il contraltare tra realtà ed astrazione, per arditezza ed originalità, palesa una vivacità creativa ben lungi da affievolirsi, e che anzi sembra preludere ad un passo ulteriore e nuovo per una ricerca ormai più che trentennale, capace di presentarsi come una delle più originali e feconde del variegato panorama figurativo livornese".
Gianni Schiavon
“…con raffinata tecnica iperrealista esprime immagini nelle quali confluiscono elementi dichiaratamente simbolici e rappresentazioni soffusamente oniriche, capaci di evocare magiche emozioni ed esperienze surreali”.
Piero Caprile
“ […] Un popolo di manichini, quasi alieni subentrati agli umani nella vita del pianeta abbandonato, si muove in ambienti costruiti in trompe-l’oeil, con memoria rinascimentale o secondo speculare realtà del presente paesaggio urbano, fra sopravvivenze immobili come uno specchio senza immagini o figure uscite dalle carte da gioco, maschere immemori del volto che vi combaciò […]”.
Brunello Mannini
“[…] I suoi soggetti sono in prevalenza paesaggi, piazze, interni, ecc.: in queste ambientazioni Marasco colloca elementi significanti ( insegne pubblicitarie, manichini, particolari di fiori ed altro ) che evidenziano certi valori non solo estetici – di stile – ma anche di sottile e complessa interpretazione contenutistica.
La padronanza del disegno e l’’esecuzione, con nitida e razionale tecnica, accentuano le dimensioni plastiche in una suggestiva spazialità.
E’ evidente che questo parlare per immagini assume sottili contenuti di denuncia riferita all’iterata situazione dell’umano nel nostro vissuto sociale […]”.
Gianfranco Pogni
"[…] Anche nei lavori di oggi, infatti, la sua mano mantiene la stessa precisione di un tempo e, se, un cambiamento c’è stato , è visibilissimo capirne il perché: Marasco offre una possibilità di riscatto, dà uno strumento per liberarsi dalle angosce e dalle ripetitività quotidiane.
Così quegli orizzonti che prima si intravedevano appena dalle finestre sullo sfondo diventano ora cieli aperti in cui gli uomini non più manichini si sono gonfiati di allegria e di colore, pagliacci policromatici danzanti nell’aria labronica e in contemplazione di scorci storici, artistici o semplicemente caratteristici […]”.
Gioele Mulinari
“…i suoi dipinti sono intrisi di un forte iperrealismo ottenuto attraverso l’accurata e puntuale resa del paesaggio. Tutto ciò è intimamente legato ad una vena di surrealismo che spesso percorre le sue opere, dove ad aleggiare nell’aria troviamo delle figurette circensi, quasi piccole mongolfiere che conferiscono al dipinto un aspetto totalmente avulso dal reale”.
Emilia Baratta