BRUNO FLORIO
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“[…] Il progetto creativo dell’artista ha una originalità inconfutabile, che si identifica nella sforzo di mettere in scena un modello percettivo attivo e dinamico che coinvolge l’osservatore, in questo caso “osservatore”, attraverso ritmi fisici e vibrazioni tattili della materia. […]
Lanciandosi in una sperimentazione creativa libera, senza limiti nè riserve, l’artista indaga le possibilità espressive del tessuto che, dopo essere stato imbevuto di colla, viene subito manipolato, drappeggiato, plasmato con i polpastrelli, al fine di concretizzazione una forma che, inevitabilmente, “in parte viene cercata, in parte viene fuori da sé”.
Bruno Florio si dà alla materia, la vive su se stesso con istintiva gestualità. Non sono consentite esitazioni, né ripensamenti: il processo di essicazione della colla non aspetta nessuno.
I rilievi che si producono trasformano le superfici piatte in volumi che si protendono nello spazio fino a conquistare luce e dimensione, conferendo corporeità all’opera finale, nella simbiosi tra creatività e tecnica, concettualità e materialità, senso e pensiero. […].
Evidente la sapienza con la quale si costruisce, quasi magicamente, il gioco dei vuoti e dei pieni, la solidità dei volumi, il continuo riproporsi su improvvise variazioni del rapporto figura-sfondo, il raffinato gioco di contrasti tra zone scure e zone luminose.
Elemento assai ricorrente nelle rappresentazioni astratte di Florio sono le biglie vitree, collocate non sotto la superficie tissutale, ma in splendida evidenza al di sopra di essa.
[…] le perle svolgono un ruolo ulteriore di fondamentale importanza: assurgono a veri e propri punti focali dell’opera, conferiscono dinamismo all’intera composizione, svolgendo una funzione “perturbante” rispetto alle pieghe prodotte dalla stoffa, che in alcune opere di paesaggio vanno a simboleggiare il vento.
Le sfere ingenerano inoltre nei confronti dell’artista, come egli stesso ha confidato, una certa attrattiva per il fatto di non poter essere manipolate, a differenza del substrato su cui poggiano, e questo non solo per la durezza del materiale di cui sono costituite, ma anche, forse soprattutto, per il timore reverenziale suscitato dalla perfetta compiutezza della loro forma.
Nelle figure, particolarmente riuscite quelle femminili, pare quasi percepirsi l'esigenza da parte dell’artista di impossessarsi delle forme che l'umano e i suoi dintorni presentano al primo sguardo. Tutto è trattato secondo le leggi della essenzializzazione della forma, del mostrare e del nascondere, tutto è rivolto a far emergere una anatomia che non sia totalmente conforme alla realtà, senza però mai eluderne il senso armonico, mentre la luce si insinua nelle sagome delle figure e ne evidenzia la solidità volumetrica.
[…]
Assai caro all'artista, per il carico di rimandi evocativi che porta con sé, è il tema della maschera. Le sue maschere, con tutta evidenza, ci richiamano alla memoria quelle veneziane del periodo carnevalesco, ma al di là di una pura valenza estetica, si comprende una sottesa volontà di svolgere una riflessione che verte sull’archetipo del doppio, sulla ambivalenza della maschera quale strumento di alterazione dell’identità personale. […] Anche l’occhio meno educato risulta particolarmente attratto dai lavori di Florio che consistono nella rivisitazione e reinterpretazione in chiave personale, siamo tentati di dire “reinvenzione”, di capolavori di grandi maestri del Rinascimento italiano, quali Leonardo da Vinci e Michelangelo. […] Pur avvertendo forte il legame con il patrimonio storico dell’arte, pur con una doverosa dose di umiltà, ai capolavori del passato l’artista non si approccia in chiave citazionista, ma li reinterpreta forte di un linguaggio personalissimo (“La MIA Gioconda”), innovativo e dinamico che gli consente di pervenire a risultati estetici di indubbia originalità.
Fra le altre, negli ultimi periodi Florio è impegnato a lavorare ad una tematica che gli sta assai a cuore, quella della comunicazione veicolata dai mass media, con i pericoli di fenomeni distorsivi e degenerativi che essa porta con sé. […] Le modalità con cui viene condotto questo processo sono ovviamente subdole, ne abbiamo una percezione nulla o comunque molto sfumata: ecco perché nell’opera “Codice binario” la sequenza dei numei “0” ed “1”, sistema su cui si basa il funzionamento dei computer, va progressivamente a dissolversi… con un effetto reso ancora più efficace e suggestivo dalle sfuggenti caratteristiche di curvilineità del supporto della tela.
[…]
In definitiva, non è altro che il piacere del contatto, del "sentire", dello sfiorare la materia.
A questo piacere, maturato durante lunghi anni di impegno creativo, Bruno Florio non rinuncia. E non intendiamo farlo neanche noi”.
Stefano Barbieri