FILIPPO QUOCHI



FILIPPO QUOCHI www.artealivorno.it/quochifilippo
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Filippo Quochi nasce a Livorno l’11 Maggio 1975.
Si diploma all’I.P.S.I.A nel 1982.
Dal 1997 svogle l’attività di Artigiano specializzato in Arte Fabbrile nel suo laboratorio in Piazza XI Maggio a Livorno.
Mostre: XV Biennale Europea d’Arte Fabbrile sezione giovani, Stia (2003); XV Biennale Europea d’Arte Fabbrile sezione Big, Stia (2005) ; 53° edizione “Premio Città di Livorno” Rotonda 2005 ( 3° classificato) ; “Italia per le arti visive” XXI edizione, Certaldo, Palazzo Pretorio .Premio Redazionale ( 2006); 24° Rassegna di pittura – scultura- grafica Distretto Centro, Toscana, Lazio, Marche, Umbria F.I.D.A.P.A. “Bottini dell’Olio” Livorno ( 2006); Proposta giovani organizzata dalla Fondazione DARS in Milano e La Spezia (2006); XXIV Premio Firenze “Sezione Arti Visive” XXIII edizione (2006) ; premio/mostra scultura da interno “Città di Carrara” dedicato ad Antonio Zeffiro ( 2007) ; XXII edizione del Premio Italia per le arti visive in Palazzo Pretorio, Certaldo ( 2007).
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“Ultimo discendente d’una famiglia di fabbri ferrai che vanta tre generazioni di professionisti, Filippo Quochi è entrato in possesso, nel corso di quindici anni d’attività, d’una non comune maestria, rara direi, anche per l’ancor giovane età, nella lavorazione dei metalli, e del ferro in particolare. Conoscenze esperite attraverso una pratica meticolosa che, unite ad un’innata capacità creativa, lo hanno spinto da un lustro a questa parte a trasformare il mestiere in Arte.
Scultore lo si può definire infatti oggi senza timore, gettando uno sguardo alla sua produzione scalata in quasi cinque anni di seppur irregolare impegno. […] Da subito orientato ad occupare la parete, quasi a rivaleggiare con la pittura, è per lo più su lastre rettangolari, disposte verticalmente, che Quochi ha principiato e tutt’oggi prosegue la maggioranza di suoi lavori, che sempre conquistano comunque, più o meno spiccatamente, la terza dimensione.
Sculture, dunque, che hanno, che hanno tuttavia nel senso pittorico, nei cromatismi dettati dalle ossidazioni e dalle differenti levigature del ferro, e nella razionalità e nell’ordine alla quale ogni lavoro soggiace, i caratteri distintivi.
Giochi di simmetrie e corrispondenze, uno spiccato senso della misura e della proporzione, addirittura classico, direi talora quattrocentesco, svelano il confesso e più tangibile amore dell’artista per il Bauhaus per il suo rigore formale ma anche per l’attenzione alle pratiche artigianali e la fusione tra le arti, e per l’opera astratta di Kandinskji, quella lirica del primo tempo e quella geometrica della più tarda maturità, cui sembrano talvolta rimandare, mai in modo pedissequo, certi principi costruttivi e talune forme e movenze lineari.
Alterna ed equilibra infatti sapientemente, l’artista, con giochi di rimandi e simmetrie, porzioni di superfici ossidate o brumate ad altre levigate, specchiate o satinate, su di esse avvicendandone ai segni incisi, netti, precisi, che attraversano diagonalmente o riquadrano i piani stessi con ambizioni astratto-geometriche, forme più libere ed irregolari, solitamente realizzate nel metallo battuto, confisse o sospese sulla lastra, stagliate su di essa , che hanno qualcosa del graffito e della scultura preistorica, della lancia e del dolmen:forme capaci di farsi sovente elegantemente sinuose, femminee quasi, non di rado simulando volontariamente il profilo femminile stesso; talora più simili a ferite slabbrate o cicatrici.
All’immota fissità delle composizioni, specie delle più geometrizzanti, fa contrappunto poi, segreta e tuttavia concreta, l’ambizione ad una libertà spaziale delle stesse, conferita dalla verticalità d’impianto e dalla tensione verso il cosmo, suggerito nell’astralità delle sfere, ora appoggiate ora aggallanti da sotto la superficie, e dai perfetti cerchi concentrici, o verso l’ignoto, evocato dai centrati riquadri che sembrano aprire porte su spazi inesplorati e lontani, insondabili, sull’infinito. Austerità di materia e severità di forme esaltano infine quella forza primigenia, intatta ed intangibile, estrema e purissima, caratterizzante queste opere: c’è in esse difatti un senso di terrestre e di primitivo, d’arcaico, unito ad una modernità spiccata e ambiziosamente proiettata al futuro; c’è il rude ferro preistorico assieme a quello polito e scintillante della civiltà delle macchine, in equilibrio tra loro: c’è energia barbarica stretta ad una coltissima eleganza. Un’astrazione radicale, ad ogni modo, che non ambisce mai a rappresentare, ma che è conscia di liberare la fantasia dell’osservatore indirizzandola sui binomi terra-sazio ed arcaico-moderno.
Recentemente l’utilizzo del laser e l’impegno nelle arti applicate, con la realizzazione di alcuni vasi, testimoniano l’ambizione alla ricerca ed alla sperimentazione di un’artista sinceramente ispirato e lungi dall’adagiarsi entro formule conseguite.
D’altra parte lavora, Quochi, per ora, sulla media dimensione –le superfici ma superano il metro d’altezza, ma le sue opere hanno intrinseca una monumentalità che sembra attendere soltanto l’occasione per realizzarsi in tutta la sua forza e grandezza”.

Gianni Schiavon


 
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