Renato Natali e la sua Livorno
pubblicato venerdì 16 dicembre 2022
RENATO NATALI
L’artista livornese che incantava i parigini
Così lo ricordò il compianto giornalista Aldo Santini, inviato internazionale per l’Europeo e “cantore” della sua Livorno, in un bel servizio giornalistico pubblicato nell’ottobre 2005 sulla testata de IL TIRRENO. Grande giornalista e firma di punta del quotidiano livornese, Aldo Santini raccontò personaggi e storie vere per 40 anni, attraverso una finissima penna. Di quell’articolo, attraverso il quale il giornalista volle fissare il ricordo di Renato Natali, anch’esso cantore della sua Livorno, ma attraverso i colori della sua tavolozza, ripercorriamo alcuni passi che focalizzarono l’immagine del grande artista livornese. ……La notte, lungo i Fossi, quanti cocomeri rossi, recitò un attore a una serata in onore di Giorgio Caproni, il grande poeta livornese. Io che sedevo al suo fianco, commentai: Maestro, questi versi fanno pensare a un quadro del Natali. E lui, pronto: Quando li buttai giù pensai proprio a un suo dipinto, ai suoi cocomeri tagliati a metà, illuminati sulla bancarella da un lume ad acetilene. Caproni amava ripetere che Natali era la vera anima di Livorno. Anzi il suo sangue . E’ l’unico pittore livornese che ha capito sul serio Livorno, ed a suo modo l’ha cantata. Anche lui, in fondo, è un poeta. Definizione giusta. Renato Natali è stato il più livornese fra i pittori messi al mondo da Livorno. Più del Fattori, certo, più di Romiti e perfino del Gambogi, più di Puccini, più di Bartolena. E sopratutto più di Modigliani. Quello che più di ogni altro fa amare Livorno ai non livornesi. Natali è l’unico , della sua generazione, a non lasciarsi intrappolare della magia dei macchiaioli. L’unico a rifiutarsi di dipingere i bovi e i cavalli maremmani. L’unico a farsi ispirare dalla sua città, a interpretare la sua città, la gente della sua città: i livornesi. L’unico a prendere per modello Livorno e il carattere di Livorno, dei livornesi. Quando mori a 96 anni, nel 1979, scrissi che Livorno aveva perduto il suo ultimo poeta. Infatti Natali è un poeta di luci e di grida. Di risse, di tramonti enfatici, di notturni baritonali, di libecciate iraconde. Di profumi marinari. Nel 1967 Gino Belforte gli stampò un libro che racchiudeva il meglio della sua pittura. Strizzandomi l’occhio, Natali commentò che li dentro c’erano gli odori di Livorno. Propose il titolo “Salmastro numero cinque”. Il richiamo allo Chanel era caustico. La Livorno gloriosa e sciamannata di Natali odora di salmastro , ma in primo luogo, di pece bollente, di baccalà e pelli da conciare, di vele, di salamoia, di zenzero. Il profumo maschio di una città arroccata sul porto, sonante di opere e di bestemmie, di preghiere per la Madonna di Montenero. ….Natali ha cantato le piazze le strade di Livorno tutta spifferi ed esplosione di sentimenti, con una gioia smaccata che nessun pittore ha osato manifestare. Natali raccontava di non avere avuto maestri. Nella Livorno dei grandi macchiaioli e post-macchiaioli, è stato l’unico tenore del pennello a non frequentare una scuola, e non seguire una moda , uno stile. Sono un “autodidatta” si vantava. Non dipingeva mai dal vero. Cos’è il vero ? Diceva: tu spalanchi le gambe del cavalletto dinanzi ad un paesaggio, lo guardi, ti ispiri, ma quando devi fissarlo sulla tela, sei costretto ad abbassare gli occhi. E appena li abbassi, ll vero non c’è più. Dipingi con la memoria. Tanto vale, allora, prendere appunti, sei finestre, quattro alberi, dieci barchette etc. Poi l’opera la butti giù nello studio. L’importante è afferrare il senso , di capirlo con il cuore. Adorava i paradossi, e l’ironia. “Non ho avuto maestri ma neanche allievi. L’Italia la conosco tutta diceva. Non parliamo di Parigi, è casa mia, ma il mondo è all’Ardenza. Proprio a Parigi, l’abitudine di dipingere a memoria e il piacere di stupire lo resero protagonista di un episodio credibile. Piantò il cavalletto in Place de la Concorde e pitturò un’Ardenza fragrante di verde tra la meraviglia allibita dei parigini che , per principio, non si meravigliano di nulla. Di qui alla leggenda c’è un passo, e Natali l’alimentava da inesauribile mattatore, raccontando di avere dipinto il Canal Grande in Piazza del Popolo a Roma, e il Colosseo in Piazza San Marco a Venezia. “A Venezia mi presero per matto e Modigliani ci rideva . Io ero il solo che riusciva a tenere allegro Modì. E’ il solo a potermi considerare suo amico. A Venezia lui frequentava la scuola di nudo all’Istituto di Belle Arti.Ero andato a trovarlo, e mi portò a giro per musei. Ricordo che davanti a un Tiziano io volevo dire la mia, e sentire la sua. Mi aggredì : Ascolta bene, Natali, qui dentro ognuno si guarda in silenzio ciò che gli piace da solo. Quando si è finito, si discute, fuori…. Sempre a Venezia, Natali e Modigliani furono al centro di una chiassosa vicenda. Una notte passeggio con Dedo in piazza San Marco. E’ tardi. Ha piovuto. Abbiamo l’ombrello al braccio, e incontriamo Plinio Nomellini, un pittore livornese già noto, in compagnia di Puccini, il musicista. “Ehi, giovanotti, come vi permettere di bighellonare a quest’ora!” Grida Nomellini con piglio autoritario. Non per nulla un giorno sarà un bel fascistore. Scherza, è evidente, ma Devo, che non lo può soffrire, salta su spiritato, lo aggredisce minacciando di spaccargli l’ombrello sulla testa. Nomellini risponde per le rime. La ragione è sua. Se io e Puccini non interveniamo finirebbe male. Il fatto è che già allora Devo beveva. Questo accade nel 1904. Natali va a trovare Modi anche a Parigi, dieci anni dopo. E’ ospite di Dario Niccodemi, il commediografo livornese, che abita in un quartiere dell’alta borghesia. Natali veste chic. Gli riferiscono che Modì vive a Montparnasse in una serra abbandonata. E’ febbraio. Arriva in un orticello stretto fra due palizzate. Contro la serra stanno allineati dei lastroni di pietra. “Modigliani ! chiama. L’accento è livornese, non ci sono dubbi. ‘ chi è ? Risponde una voce , in italiano. “Sono Natali”. Quello fu , così raccontava Natali, l’incontro parigino con il grande Dedo. Quello di Parigi, fu il periodo migliore di Natali. Allora dipingeva poco ma bene. Ogni quadro era meditato. La sua pennellata era furente ma non frettoloso, e i suoi colori aggredivano con un fascino nuovo. Meditava le figure, il taglio, l’ambientazione. Non ripeteva i soggetti. Cantava la poesia di Livorno ispirandosi a scene e protagonisti sempre nuovi e comunque rivissuti con emozione genuina. IL suo espressionismo ventoso e urlato era nel solco dell’arte contemporanea. Parigi lo aveva irrobustito. Toulouse Lautrec lo aveva incantato . Le Biennali di Venezia lo ebbero spesso in prima fila . La sua Livorno, inverosimile eppure autentica, era una Livorno come la vedevano i livornesi, temprati dalle lotte per sbarcare il lunario, e i visitatori capaci di innamorarsi della sua aria tersa, delle sue recite forsennate, del suo lirismo corrosivo, e dei suoi ponci alla livornese. Una Livorno teatrale: chi la conosce bene sa che la nostra città è tutta un teatro. Un teatro all’aperto. Il guaio fu che la sua Livorno al rum piacque troppo. Ebbe troppo successo. Proprio perché era inventata nella misura più autentica e dava alla città una dimensione fantastica. Il successo dilagò nel trionfo al tal punto che, superata la boa dei cinquant’anni, il “Renato delle notti “, come lo definivano i biografi municipali, bissò in continuazione la sua romanza. Natali rimase prigioniero del suo trionfo e dei mercanti che gli portavano via le tele da sotto il pennello. La sua vita era modesta. Odiava i lussi, gli onori. Odiava la mondanità. Non si era sposato, ma aveva legami pesanti. Roma era la sua seconda patria. Era costretto a lavorare come un mulo. Per gli amici era arduo ottenere da lui un quadro. Lo prometteva e non lo faceva mai. Peggio era prestargli un quadro per una mostra. Non lo rivedevi più perché, era incapace di resistere alle pressioni dei mercanti. Una volta, su mia richiesta, dipinse una Rotonda dell’Ardenza per un numero celebrativo de “Il Tirreno”, dove la riproducemmo a pagina intera. Mi portò al giornale la tela appena dipinta e guardando fisso con gli occhi a palla mi disse : “Aldo, sono anni che ti prometto un bel quadro. Prendi questo. Non fartelo scappare. Mi conosco: continuerei a premettere senza mantenere. Ci voleva quest’occasione per mettermi a lavorare di buzzo buono per un caro amico.” Imitato e falsificato più di ogni altro pittore livornese, Natali non si inquietava. “Se mi falsificano è segno che valgo qualcosa”. E se gli portavano ad autenticare le tele false non sapeva dire di no e le firmava su retro. “Dobbiamo campare tutti , si giustificava “. Era un pittore sempre di buonumore. Non spettegolava mai dei colleghi: una rarità. Non invidiava nessuno. Se gli dicevano che il tale era diventato milionario, commentava : “Milionario? Deh, e che ci vuole ? Basta fare un milione di bozzetti a una lira l’uno. Oggi, il suo nome, la sua arte, e i suoi ricordi, continuano a rimanere vivi , grazie ad un collezionismo che non si è mai assopito. Dipinti come “La Rotonda con le carrozze, il porto tumultuoso, la via Grande stretta ed alta, le risse, le maschere del Goldoni, i mercati di donne livornesi, le storiche strade di Livorno, le scene di caccia e i suoi circhi” tanto per ricordare alcuni soggetti cari al Natali, fanno ancora bella mostra nei Musei, nelle Gallerie d’arte , ma soprattutto nelle case di chi, oltre ad amare l’artista, ama la pittura come testimone di un tempo.
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